l'Osteria del treno



l'Osteria del treno

Messaggioda MauroT » 26 dic 2011, 12:44

Dalla velocità dei treni che tentavano di collegare un’Italia unita solo politicamente e da poco alla lentezza del cibo mangiato con calma per assaporarne gusti, sfumature e tradizioni. Dalla lotta dei lavoratori per il pane al ricco companatico che viene servito ora, con un passaggio tra John Wayne e il porno. La sala Liberty di via San Gregorio 46 a Milano, nata come sede della mutuasindacato dei ferrovieri, ora è dependance di extralusso dell’Osteria del treno, il luogo dov’è nato il movimento Slow Food a Milano. Ma senza dimenticare le radici.

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La copertina della Domenica del Corriere del 30 aprile 1905 sulla quale Achille Beltrame dipinge dal vero i ferrovieri riuniti nella sala Liberty mentre decidono uno sciopero generale


Una storia che inizia, guarda caso, un Primo maggio, quello del 1877. Ed è un caso veramente, perché questa data diventerà la festa dei lavoratori solo una dozzina di anni più tardi. Quel giorno viene fondata la Società di mutuo soccorso tra macchinisti e fuochisti delle Ferrovie dell’Alta Italia, che raccoglie iscrizioni tra soggetti che lavoravano in diverse città nel Nord, la prima mutua che usciva dagli ambiti cittadini. Non è invece un caso il luogo: allora la Centrale aveva l’ingresso in quella che ora è piazza Repubblica (e che ai tempi era intitolata proprio alla stazione). La mutua, che di fatto era anche sindacato visto che all’epoca non esistevano, aveva sede in una stradina appena dietro i binari, via San Gregorio. E lì è restata, cambiando un po’ funzioni e nome — ora è intitolata a uno dei suoi storici leader dell’epoca, Cesare Pozzo — ma restando se stessa. «Ai tempi — spiega il vicepresidente Diego Lo Presti — lo stato sociale semplicemente non esisteva e le mutue servivano a rispondere concretamente ai disagi della disoccupazione, delle cattive condizioni di lavoro e della povertà. Sono state le prime forme di autoorganizzazione sociale».

Per una società così importante (i ferrovieri facevano parte dell’aristocrazia operaia: sapevano leggere e scrivere, che per l’epoca era una rarità) serviva una sede adeguata. E nacque così questa sala splendida, nello stile dell’epoca, quello Liberty, con qualche contaminazione di architettura industriale viennese, come la scalinata e le balconate in ferro battuto sorrette da colonne in ghisa, il pavimento in graniglia madreperlato, un alto soffitto occupato da tre affreschi. Un trittico, dal titolo Il lavoro redento, progettato da Giuseppe Mentessi, uno dei più grandi pittori italiani di fine Ottocento, ed eseguito materialmente da quattro suoi allievi, Innocente Cantinotti, Guido Zuccaro, Alfonso Quarantelli e Antonio Rizzi. In questo spazio il movimento operaio legato ai trasporti conobbe per decenni gioie e dolori, proclamò scioperi e iniziative di protesta, festeggiò successi sindacali e politici e si riorganizzò dopo le sconfitte, anche se riuscì a evitare — forte com’era — lo scioglimento toccato a tutte le associazioni di lavoratori in epoca fascista: neppure il regime osò sfidarlo fino in fondo.

Nel dopoguerra l’attività della Cesare Pozzo, che qui accanto ha la sede centrale, prosegue ed è tuttora fiorente: «Abbiamo quasi 90mila soci, non solo lavoratori dei trasporti, siamo aperti a chiunque — dice Lo Presti — e a loro e ai famigliari offriamo servizi di solidarietà nel settore della sanità integrativa, da visite mediche a ricoveri ospedalieri. Ma abbiamo anche una biblioteca specializzata sui trasporti in Italia e in Europa che ha oltre 25mila libri, punto di riferimento per appassionati e studiosi». La sala però fino dal 1944 era stata trasformata in un cinema, il Marconi: 400 posti a sedere, film in seconda e terza visione, spesso due proiezioni al prezzo di una, specializzato in western e per questo frequentatissimo dai liceali che bigiavano scuola. Liceali che apprezzarono ancor di più la trasformazione del 1981, in cinema a luci rosse, l’Aphrodite (con un sottotitolo sublime per quanto era trash, volgarotto e ingenuamente provinciale, “The temple of pleasure”). Una mutazione piacevole per alcuni aspetti, triste per molti altri pensando a cosa era stato quel posto.

Fino a che, sul terminare degli anni Ottanta la sala fu salvata da un Angelo. Con la A maiuscola, perché è il suo nome, di cognome fa Bissolotti ed è il fondatore dell’Osteria del treno, che è proprio lì accanto: stile amichevole e informale, prezzi ragionevoli, estrema attenzione alla qualità del cibo e alla tutela delle tradizioni gastronomiche italiane (è la culla di Slow Food). A un certo punto Bissolotti ha deciso di allargarsi e ha preso in affitto lo spazio dalla Cesare Pozzo, riportandolo a nuova vita, e non solamente nel senso dei restauri che hanno ridato l’antico splendore al posto, così bello che entrarci è una vera emozione. «Ora è il nostro fiore all’occhiello — dice — qui, oltre che le iniziative sociali della Cesare Pozzo, ospitiamo convegni, pranzi di lavoro, cene di gala, feste danzanti, compleanni, matrimoni, conferenze stampa, eventi e degustazioni di Slow Food».

E soprattutto la danza: ogni domenica sera la sala diventa una milonga, piena di appassionati del ballo che per ore si avvinghiano al ritmo del tango. Un destino che in fondo è una sintesi del passato della sala Liberty. Dalla pornografia dell’Aphrodite si è passati all’erotismo soffuso e sottinteso del tango. E poi che cos’è questa danza se non un abbraccio continuo e reciproco tra persone, tra corpi e anime? Esattamente come una mutua.

Articolo tratto da Repubblica Milano
La vera misura di un uomo si vede da come tratta qualcuno da cui non può ricevere niente in cambio (Samuel Johnson)
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