EVOLUZIONE DELLE SLOT DA COMPETIZIONE (3° parte)
Nelle prime due parti abbiamo considerato l'evoluzione estetica (dal modello realistico alla carrozzeria spoglia e alleggerita, poi sostituita dal "sintetico" guscio monopezzo
in acetato). Vediamo ora la meccanica.
Già nel 1965 vi era un' ampia scelta di modelli
in commercio ma per problemi di rapporto prestazioni-prezzo le meccaniche più diffuse (
almeno nei primi mesi del 1966 e nei center romani e milanesi) erano tre: Monogram, COX e AMT, dotate di telai molto diversi per materiali e meccanica, impiegavano però tutti e tre lo stesso motore: il Mabuchi D36, differenziato solo dal diverso colore della cassa (Rosso per Monogram, violetto metallizzato per AMT e cromato (con calotta nera) per il COX...
)
La
Monogram produceva vari tipi di telai ma tutti realizzati con la stessa filosofia: sottile lamierino
in lega di ottone, nervato e allungabile mediante viti, alcuni con pik-up fisso, altri mobile mediante un braccetto oscillante di tondino
in acciaio: era piuttosto delicato e con prestazioni solo discrete. Eccone un esempio:
- Telaio Monogram con motore longitudinale "in linea". Questo è un telaio 1:32 ma quelli in scala maggiore erano comunque strutturati in modo molto simile
Ma i telai più diffusi e più performanti (tra i modelli intorno alle 10.000£) erano probabilmente quelli della COX e della AMT.
Tra le macchine di serie (non elaborate) il telaio della Lotus 40 COX era certamente il più performante. Bastava sostituire le gomme posteriori (troppo dure) con gomme
in spugna un poco più larghe e il modello risultava vincente:
- Telaio COX della Lotus 40: in lega di magnesio, essenziale, rigido e leggerissimo dotato di braccetto ascillante, molleggiato, porta pik-up. Il motore (Mabuchi D36) posto trasversalmente con ingranaggi frontali (trasmissione detta "sidewinder") era però fisso e non permetteva di variare il rapporto di trasmissione.
Il modello di serie era velocissimo ma non si poteva elaborare: il motore fisso non permetteva di variare il rapporto di trasmissione (pignone/corona) e non si poteva abbassare il baricentro montando ruote di diametro inferiore poichè sia la corona che il telaio avrebbero toccato la pista. Inoltre il telaio prevedeva solo attacchi per le carrozzerie rigide, originali della COX: montare una carrozzeria
in acetato avrebbe stravolto il telaio per la necessita di aggiungere staffe di collegamento oltretutto difficili da realizzare.
Riporto integralmente un articolo del settimanale Autosprint riferito alla prima gara milanese di
slot vinta dal (all'epoca notissimo) pilota di F3 Andrea De Adamich che gareggiò appunto con una COX Lotus 40, 1:24:
- Articolo di Autosprint del 9 giugno 1966
De Adamich però, nonostante la maestria nella guida, nelle gare successive non fu
in grado di difendersi da un concorrente munito di di un modello elaborato
Il telaio AMT:
Queto telaio aveva una filosofia costruttiva totalmente diversa dal COX, con ampie possibilità di elaborazione.
- Telaio AMT: allungabile e allargabile poteva ospitare moltissime diverse carrozzerie della stessa casa. Realizzato in lamierino di ottone, montava il motore (Mabuchi D36) in posizione longitudinale (trasmissione "in linea"). Questo permetteva di variare i rapporti (pignone/corona) e volendo anche di montare un diverso motore (con lievi modifiche al telaio)
Il telaio AMT era molto più pesante del COX, ma si poteva alleggerire (forandolo), tagliare, saldare; quindi elaborare, variandone l'assetto. Era inoltre dotato di un (opinabile
) sistema "variatore d'assetto": le due lamelle forate, visibili
in foto, inserite nel telaio, slittavano indietro (
in accelerazione) ed
in avanti (
in frenata) Variando quindi la ripartizione dei pesi dal posteriore all'anteriore.
Il sistema però non sembra fosse molto funzionale, tutti evitavano di montarle per alleggerire il telaio già di per se abbastanza pesante.
Tutti e tre i telai (Monogram, COX e AMT) mostrati
in questa sezione, erano comunque strutturati per montare solo le carrozzerie delle stesse ditte e cercare di adattare ad essi le nuove carrozzerie
in acetato, creava comunque problemi. Le ditte (attentissime al mercato) iniziarono a produrre modelli predisposti o già dotati di carrozzerie
in acetato (abbiamo già visto la costosissima Ford della Champion) e anzi, visto che la parte modellistico-estetica non destava molto interesse negli acquirenti, iniziarono a produrre modelli di macchine inesistenti, dotate di carrozzerie di fantasia, allo scopo di farle le più semplici, basse e leggere possibili, non essendo legate alle proporzioni realistiche di un modello
in scala. Quesi modelli di fantasia vennero subito definiti "Mostri"
CONTINUA
Saluti da Oliviero
(revisionato e corretto l'11/02/2019)